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Baracoa, situata all'estremità orientale di Cuba, nella provincia di Guantánamo, si estende per circa 977 chilometri quadrati e ospita una popolazione di 78.056 abitanti. Sorge dove le dolci onde della Baia del Miele incontrano una verdeggiante barriera montuosa che la isola da gran parte dell'isola. Fondata il 15 agosto 1511 dal conquistador Diego Velázquez de Cuéllar, vanta il primato di primo insediamento spagnolo e capitale originaria di Cuba, da cui il soprannome di Ciudad Primada. Il nome originale della città, Nuestra Señora de la Asunción de Baracoa, conserva l'intreccio di fede e impero che ne ha segnato la genesi, mentre il termine taíno da cui deriva il nome allude alla "presenza del mare". Dal primo contatto nel novembre del 1492 a oggi, l'essenza di Baracoa si cristallizza in quell'unione di oceano e montagna.
Anche quando le caravelle di Colombo si fermarono sulla sua costa, le cime circostanti, tra cui la Sierra del Purial, formavano un baluardo naturale, offrendo riparo e isolamento. L'abbraccio umido delle foreste umide cubane e le maestose distese di pini cubani ricoprono le creste, dove l'unico collegamento terrestre con l'isola è La Farola, la strada sinuosa scavata negli anni '60. Prima che quella meraviglia ingegneristica collegasse Baracoa a Guantánamo, le porte d'accesso alla città si trovavano sopravento e verso il mare, e il commercio si snodava attraverso canali clandestini. Dal XVII secolo in poi, le navi straniere che si infiltravano nella baia commerciavano zucchero, rum e cacao di contrabbando, trovando rifugio sotto lo sguardo di forti come Matachín e La Punta, le cui mura di pietra sopravvivono a narrare quegli scambi furtivi.
La presenza dei Taíno, quasi estinta dalle malattie europee, persiste nella memoria e nel mito. Hatuey, il capo tribù che fuggì da Hispaniola e radunò la resistenza su questa costa, rimane custodito sia nella statua che adorna il Parque Independencia sia nell'immaginario locale che lo immagina sprezzante davanti al rogo, preferendo il fuoco infernale alla salvezza dei suoi oppressori. Quel monumento domina la piazza circondata dal guscio restaurato della chiesa originale di Baracoa, le cui mura un tempo ospitarono i primi vescovi e ora si ergono a guardia degli uffici comunali e degli operatori turistici. Tali giustapposizioni di passato e presente si dispiegano in tutto il centro storico, dove stretti vicoli si snodano tra umili abitazioni, offrendo scorci di mura coloniali che il tempo non ha né cancellato né magnificamente restaurato.
Lo stesso Cristoforo Colombo definì quest'insenatura "il posto più bello del mondo", fermandosi a piantare una croce – la Cruz de la Parra – nella sabbia. Quell'emblema, fatto di legno locale ma carico di leggenda, sopravvive nella concattedrale, dove le sue armi lignee sono esposte con reverente curiosità. Dietro la chiesa, il coro degli anfibi al tramonto, simile a un coqui, echeggia attraverso la navata a volta, rifrangendo gli echi del diario di bordo di Colombo in una testimonianza viva. Di sera, il malecon offre una controparte più modesta alla famosa spianata dell'Avana, dove gli abitanti si appoggiano alle balaustre di pietra per osservare i pescatori che tirano su le reti o semplicemente per sentire gli spruzzi nell'aria immobile.
L'ondulata distesa dei fiumi Río Yumuri, Río Miel, Río Duaba e Río Toa irriga le pianure dove il cacao prospera sotto le palme reali. In quel sottobosco ombreggiato, il Theobroma cacao produce le fave che sostengono la principale industria cioccolatiera cubana. Maestose tenute come Finca Duaba offrono tour che ripercorrono il viaggio della fava dal fiore alla tavola, mentre i chioschi lungo le strade vendono panini di cucurucho, un dolce fagottino di cocco grattugiato, zucchero e frammenti di frutta tropicale avvolto in foglie di palma. Al tramonto, il profumo del cacao tostato aleggia tra gli stretti vicoli, promettendo odissee notturne a base di caffè o rum infusi al cioccolato.
Verso la metà del XIX secolo, gli emigrati di Santo Domingo in fuga dalla rivoluzione introdussero la coltivazione di caffè e canna da zucchero sulle colline. Quei coltivatori diffusero pratiche agroforestali che ancora oggi caratterizzano il mosaico di piccole proprietà e boschetti ombreggiati. Allo stesso tempo, l'isolamento della regione la rese teatro di lotte per l'indipendenza; sia Antonio Maceo che José Martí misero piede sulle sue spiagge, i loro sbarchi clandestini inserirono Baracoa nella lotta per la sovranità di Cuba. I monumenti a quegli episodi rimangono discreti, ma potenti: un modesto cenotafio sotto El Castillo, ora rinato come boutique hotel, commemora i patrioti i cui passi echeggiano debolmente tra le sue pietre.
La costruzione di La Farola rappresentò un momento spartiacque, trasformando i legami della città con il resto di Cuba. Con undici ponti su ripidi burroni e un'altitudine di circa 600 metri, la strada incarna l'audacia tecnica dell'era rivoluzionaria. Eppure, ancora oggi, i suoi tornanti richiedono un'andatura prudente, ricompensando i viaggiatori con panorami di valli laccate di nuvole e creste che sfumano in una foschia color giada. I viaggi in autobus da Santiago de Cuba durano quattro ore; i voli dall'Avana all'aeroporto Gustavo Rizo li riducono a due, eppure entrambi i mezzi di trasporto conservano un senso di transizione: dalle pianure di zucchero di pianura all'enclave più appartata dell'isola.
Il turismo qui è per sua natura intimo, confinato in gran parte a piccoli hotel e case particolari. L'Hotel Porto Santo e Villa Maguana occupano terreni sulla baia, con le loro facciate basse dipinte in tonalità pastello che catturano la luce del mattino senza ostacolare la vista. Poco oltre il parco costeggiato da caffè, il Flan de Queso offre un'atmosfera curata per gli aperitivi al tramonto, mentre la Casa de la Trova pulsa di son e bolero fino a tarda notte. La sera può attirare visitatori curiosi nella discoteca arroccata cento gradini sopra la città, dove cocktail al rum e cocktail a base di cola accompagnano l'ingresso alle danze sotto una fila di lampadine nude.
Il quadro naturale si estende oltre le delizie commestibili. El Yunque, una montagna a tavola che si erge fino a 575 metri, si erge a dieci chilometri a ovest, la cui cima è accessibile solo con un trekking guidato attraverso un arazzo di felci e palme endemiche. Questa scalata, che inizia presso il campismo, praticato esclusivamente a Cuba, richiede resistenza e umiltà, ma garantisce una panoramica a 360 gradi della frangia orientale dei Caraibi. A nord, il Parco Nazionale Alejandro de Humboldt attrae con una biodiversità ancora più ricca, dove lumache polymita e minuscole rane della foresta condividono lo spazio con orchidee tentacolari e alberi con piume di formiche. Le strade di accesso sono strette come quelle di un vicolo cieco, ma il prezzo di una guardia giurata o di un tour organizzato di gruppo restituisce i dividendi di una natura selvaggia e incontaminata.
Le cascate caratterizzano l'abbondanza idrologica della regione. Il Río Toa ospita "el Saltadero", una cascata di 17 metri di acqua color giada che si riversa in una piscina circondata da palme. Più a monte, l'Arroyo del Infierno precipita a Salto Fino, un salto di 305 metri acclamato come la cascata più alta dei Caraibi e tra i venti più alti del pianeta. Le escursioni in barca lungo la valle di Yumurí offrono scorci di borghi rurali e piantagioni di cacao, mentre i picnic in riva al fiume possono concludersi con un tuffo in calette di sabbia nera come Playa de Miel, dove la costa si curva sotto la sagoma vigile di El Yunque.
I profili demografici riflettono un territorio scarsamente popolato. Con circa ottanta abitanti per chilometro quadrato, Baracoa conserva un ritmo rurale che contrasta nettamente con i centri urbani. Numerosi villaggi – tra cui Nibujón, Boca de Yumurí, Sabanilla e Jaragua – punteggiano l'entroterra, con i loro gruppi di abitazioni collegate da strade sterrate e ornate da chiese comunitarie. Mercati stagionali si aprono sotto i tamarindi, dove gli abitanti barattano platani, sacchi di caffè e cappelli di foglie di palma fatti a mano. In questi scambi, il legame tra terra e mezzi di sussistenza rimane palpabile, incontaminato dalle correnti omogeneizzanti del turismo di massa.
Le arterie di trasporto del comune culminano nella Carretera Central, la spina dorsale dell'isola che si estende per 1.435 chilometri da Baracoa a Pinar del Río. Camion carichi di banane, noci di cocco e cacao sferragliano tra le baracche ai lati della strada, mentre i contadini pascolano le capre sotto le mutevoli ombre delle nuvole. Di notte, le banchine dell'autostrada si illuminano di fari, tracciando un filo luminoso che conferma il legame duraturo di Baracoa con la più ampia narrazione di Cuba.
Architettura religiosa e vestigia militari si intrecciano in tutto il centro urbano. La Concattedrale di Nuestra Señora de la Asunción custodisce i venerati resti degli orecchini della Cruz de la Parra, un dettaglio che tradisce la complessa storia della croce e invita a riflettere sul punto di radicamento della leggenda nella memoria collettiva. Il Forte Matachín, convertito in museo municipale, ospita reperti coloniali spagnoli e manufatti navali, mentre il Fuerte La Punta ospita ora un ristorante i cui tavoli si affacciano su una baia tranquilla. Oltre a questi, El Castillo, rinato come Hotel El Castillo, si erge in cima a una ripida scarpata, i cui bastioni offrono viste panoramiche che uniscono la posizione strategica a una serenità poetica.
Spiagge dai caratteri contrastanti orlano il perimetro di Baracoa. A nord, Playa Duaba e Playa Maguana si nascondono in calette appartate, dove la distesa color acquamarina dei Caraibi lambisce sabbie chiare e un solitario ristorante serve pescato fresco del giorno. A sud-est, Playa Blanca si estende per dodici chilometri in bici-taxi – sabbia bianca solcata dall'ombra delle palme – offrendo un tranquillo rifugio dal modesto trambusto della città. A Playa de Miel, i granelli neri di lava aggiungono drammaticità al litorale, la cui tonalità si intensifica all'alba sotto un cielo dorato di promesse.
La gastronomia locale onora sia il patrimonio culturale che il raccolto. Il Cucurucho emerge come emblema dell'ingegno, il suo cono di foglie di palma racchiude cocco zuccherato mescolato a pezzetti di guava e ananas, ogni morso un mosaico di risonanze tropicali. Il Bacán, un fascio di polpa di platano cotto a vapore nella sua stessa foglia, offre un contrappunto amidaceo ai churros ricchi di cioccolato, mentre tazze di cioccolata calda distillata da chicchi coltivati localmente punteggiano i mercati di mezzogiorno. La discendenza di quel cacao – nato sui fiumi, ombreggiato dalle palme, intrecciato con la cura umana – infonde a ogni sorso una profondità geologica e culturale.
Per chi si attarda oltre l'alba, la Casa de la Flana si anima con la tradizionale chitarra e il tres, guidando i clienti attraverso i son patrones sotto una volta di querce. Al calar della sera, lo stadio di Playa de Miel ospita partite di baseball, con i giocatori che tracciano linee di fondo sabbiose in un tripudio di devozione nazionale. Questi momenti, piccoli ma risonanti, catturano l'essenza di Baracoa: un luogo dove il tempo scorre seguendo i ruscelli di montagna e le piante di caffè all'ombra delle palme, dove la storia si snoda tra strade orlate di corallo e cascate lontane che richiamano i curiosi.
A Baracoa, il passato è ancora una corrente viva, che scorre tra piazze e piantagioni, tra forti di pietra e moli ombreggiati. È un luogo dove la geografia impone isolamento e invito, dove i forestieri arrivano desiderosi di assaggiare il cioccolato alla fonte, di scalare antiche vette, di ascoltare al tramonto il canto delle rane che Colombo credeva non se ne sarebbero mai andate. Qui, l'orizzonte cubano più orientale del mondo si dispiega in strati di verde e blu, ogni scorcio è una testimonianza della sottile interazione tra mare, cielo e montagna che ha plasmato questa Ciudad Primada per oltre cinque secoli.
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